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Toulouse en érasmienne

sabato 14 febbraio 2015

Lettera a una persona a cui nessuno parla



Inutile negarlo. Inutile esorcizzarlo. Ci si passa sempre, prima o poi. A tutti potrebbe accadere di ritrovarsi da soli, privati delle proprie coordinate emotive e materiali, e di essere costretti a passare le giornate di festa o di riposo senza voci intorno, senza presenze. Con l’impressione che nessuna premura si manifesti mai. Una cosa, ammettiamolo, abbastanza infernale, che ne siano causa l’indifferenza, l’imbarazzo, gli impegni, l’inevitabile vita di ognuno, o veramente la cattiveria delle persone. Una volta un blogger commentò un post dicendo che lui tentava sempre di rivolgere la parola alle persone, solo per scambiare due parole senza altri fini, lasciare il piccolo segno di una presenza. Così oggi scrivo una lettera a una persona cui sta capitando di passare i giorni di festa senza parlare con nessuno, pur non conoscendola, per indirizzarle una parola io, solo per raccontarle qualche cosa da una città lontana. Una passeggiata. Di quelle piccole cose insignificanti ma piacevoli che ci fanno rimanere nel mondo quando le si accoglie con quella buona creanza verso sé stessi e verso gli altri, quella cura di sé, che spesso ci salva dalla deriva personale, anche nei momenti duri. Oggi  ho scoperto un piccolo angolo tutt’altro che nascosto della città dove al momento (purtroppo solo al momento) abito, cioè Parigi. La quale era un tempo, in alcuni suoi quartieri, un villaggetto di piccole case in mattoni, coi rampicanti e talvolta i pergolati, lastricata da pietre irregolari, poi soffocata dai palazzoni residenziali fine ’800 e dalle ancora più deprimenti torri di cemento del devastatore XX secolo. Per ritrovarne i brandelli sopravvissuti bisogna lasciare i viali ampi, aperti come ferite mai chiuse nel tessuto urbano allo scorrimento dei motori e del traffico, e cogliere con l’occhio l’inizio di piccole strade dalle basse case, con l’aria artigianale di ciò che non è fatto in serie. Aggirando qualche brutta costruzione moderna può capitare di finire in una antica strada di artigiani e ristoranti, dove l’aria è subito del passato, un misto di vivacità e di modestia di condizioni, oggi negate dai grandi palazzoni. A me luoghi del genere fanno subito sentire meglio: comincio a respirare più distesa, mentre il cemento mi dà immediatamente un senso di oppressione. Invece camminare per questa stradina fa pensare che arrivino delle belle sorprese. Come una bottega tutta foderata in legno, con le pareti bianche. E in vetrina un favo. Sì, proprio un favo vero, tutto grondante di miele dalle sue cellette. Vicino un raschietto. Per tagliarne una fetta e portarsela via. In cui affondare le dita mentre le cellette cedono sotto la pressione, e rimane sul dito l’oro trasparente, fluido e profumato da assaporare immediatamente, con la sua aria di fresco e quell’aroma che perde il miele in  vaso. Se poi si entra in questo piccolo scrigno si scoprono cose mitologiche, come l’idromele delle saghe nordiche, quel misterioso liquore che fa sognare tutti i bambini nell’immaginarne il sapore. A lungo ci ho sognato sopra, ora so almeno che è trasparente come acqua. Che sia la bevanda degli Ent? Bisogna che lo assaggi, la prossima volta. Alle mie spalle tutti i mieli del mondo. Non esagero: ci sono mieli di essenze che vengono da tutta la terra o quasi, di agrumi, di fiori selvatici, di piante da frutto, di erbe profumate. Ci sono tanti bastoncini per assaggiarli finché se ne ha voglia. Io ho provato un miele di una qualità di felci che era amarognolo in fondo, ma meno duro del miele di castagno. Una vera sfida per un cuoco. Poi splendidi cilindri di vetro pieni di luce per tirare l’oro su dai barattoli, libretti di bellissima carta che insegnano tutto sul miele, una botticella di aceto al miele da cui servirsi alla spina, macchinari per separare il miele dalla cera, per centrifugarlo, per mettersi su un alveare. Candele dolcissime di cera naturale, profumate. Pare che a Parigi ci siano non si sa quanti alveari e tantissime api. Un fantastico gnomo con la barba bianca, discretissimo in fondo al negozio e presente insieme come sanno essere qui, faceva da guida alle sue piccole meraviglie. Come stupirsi che questa piccola bottega fosse finita nella guida « Les introuvables » di Parigi?  Poco più in là e molti ristoranti in mezzo, una seconda bottega curiosa:  l'Oisivethé, Thé-ricoter. Sala da the e insieme negozio di lana per lavorar a maglia (tricoter). Ora io che sono freddolosissima ero estasiata all’idea di poter mangiare qualcosa in mezzo ai gomitoli! La saletta è piccola e fatta apposta per piacere alle donne che amano starsene un po’tranquille : matasse piene di colori appese alla pareti, unite, mélange, fini, spesse, in merino, lana inglese, lana e seta; thé profumati alle erbe, ai fiori, ai frutti, affumicati. Voglia di aprire subito il coperchio della teiera calda per annusare il fumo che ne esce come una sorpresa. Assaporare un boccone e chiedersi se ci piacerebbe di più sentire il nostro viso sprofondare in una lana rossa oppure di un gioioso color corallo. Vedere signore che scelgono una matassa, sfogliano libri di lavori a mano, la soppesano, la riposano, ne prendono un’altra, e così via. Senza mettersi fretta. Augurarsi di saper fare un maglione e sapere che non ci riusciremmo proprio. Eppure quel mélange sui toni del blu notte, tra il violetto, il nero e il blu che stranamente dà luce al viso e che non avremmo mai saputo immaginare, non è invitante?
Si riparte, per arrivare a un curioso basso edificio in mattoni con le finestre contornate di pietra bianca, al di là della piazzetta con i suoi arbusti e vialetti curati. E’ una piscina pubblica, come a Parigi ce ne sono in tanti quartieri. Questa però è alimentata da un pozzo artesiano. Pura acqua dei bassofondi parigini. Alla fine dell’800 la città aveva cominciato a espandersi sin qui, e rifornirsi tutti di acqua potabile era un problema. Qualcuno aveva lanciato l’idea che scavare un pozzo sarebbe stato facilissimo. L’acqua però giocava a rimpiattino e si lasciò trovare solo a 286 m sottoterra, dopo decenni di scavi interrotti e ripresi. A quel punto il problema era stato risolto altrimenti, e il pozzo sgorgava inutilmente. Finché fu deciso di costruire una piscina cittadina e di usarla anche per scopi medici. Fu qui che venne messo a punto il nuoto come disciplina correttiva.
Acqua e acqua unite: quella pioggerellina incostante del nord decide di mettersi a cadere proprio adesso, pervicacemente, per circa cinque minuti. Giusto il tempo di schizzarsi. Gelo, umido, freddo, nuvole. Il tempo di arrivare alla prossima piazza, di scansare l’orripilante, gigantesco centro commerciale su un lato, di guardare più in là. Un quarto di arcobaleno variopinto scavalca il viale, felice dei suoi colori. E pure gli spettatori a naso in su, mentre tra le nuvole che non mancano mai si apre la sua strada l’azzurro.     

Cara Vivian, o meglio, cara tu che sei dietro a Vivian, lo so che ti scrivo da così lontano da non riuscire nemmeno a farmi sentire. Non importa: ricordiamoci che il mondo è sempre pieno di sorprese, e noi, malgrado tutto, di desideri.
            

9 commenti:

  1. Tu sei una donna meravigliosa!
    Generosa empatica e vera

    la seconda parte del post, il racconto, me lo leggo domani che mi sono persa a leggervi di là e ora devo dominarmi un attimo.
    mi intriga quel libro di cui parli, bisognerà che lo si traduca in italiano. Lo regalerei a qualche amica in difficoltà Anzi anzi......

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    1. Grazie Squa. Sono molto contenta di dare questa impressione e mi fa molto piacere quello che mi scrivi.

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    2. P.S.: il libro è molto bello, secondo me. Però è un libro difficile da tradurre, non in sé, ma perché è un libro vagamente d'artista, come Calle è, quindi costoso: tante foto quanti testi, formato ampio, carta buona, molte pagine, copertina decorata e foderata. Quindi si deve essere sicuri che ci sia un mercato, ciò che in Francia Calle ha. In Italia invece...
      Peraltro io trovo che sia relativamente facile capire il francese in lettura, pur non parlandolo, specialmente se si conosce bene l'italiano e magari un po' di latino e si è interessati all'argomento.

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  2. Grazie pellegrina, grazie a nome di Vivian che conosco e che sta soffrendo tanto e sono felice che possa sentire che non è sola, non lo è davvero, anche se il calore intorno a lei è di sconosciuti, è forte ed è tanto. E grazie perchè non tanto tempo fa Vivian ero io e la catena di solidarietà che poò arrivare dal blog è davvero potente. E visto che ci sono grazie per i tuoi commenti " a casa mia" sempre sentiti e passionali. Grazie davvero per tutto.

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    1. Grazie a te dell'apprezzamento così sentito che mi fa molto piacere davvero. Anche chi scrive ha bisogno di apprezzamento ;-).
      Hai ragione sul blog, la condivisione e l'affetto degli sconosciuti sono importanti, soprattutto quando attorno tutto svanisce e nella vita reale pochi riescono a sembrare vicini. Sono contenta che tu stia meglio e spero che anche Vivian possa riuscirci presto.

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    2. Eccomi! Ci sono riuscita! Dopo l'iscrizione...
      Grazie ancora per tutto!

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    3. Ma grazie a te! E adesso sono io che non riesco a iscrivermi da te :-(

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  3. Lievi come una piuma le tue parole, lievi come una carezza sull'anima eppure forti e avvolgenti come un abbraccio. Non hai detto "non sei sola", ha fatto non sentire sola una persona o tante persone e non è poco, forse non è nemmeno molto, però in certi momenti può essere tutto una mano lieve, una piuma, un abbraccio.

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    1. Grazie Ale, mi dispiace vedere solo ora un commento tanto bello e penetrante. Hai ragion, sono le piume che fanno la differenza, come i ricchi e le principesse sanno bene (-;

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